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l'oscurità, ma io ho una luce

Fotografia digitale | Fotografia con cellulare | Diversi dispositivi e tecniche | Progetto in corso | Iniziato nel 2018 | Realizzazione di un libro

Tutto è iniziato nel settembre del 2017. Senza alcun preavviso. All'inizio pensavo che fosse qualcosa di passeggero, una parentesi che sarebbe passata in fretta. Ma, con il passare del tempo, il dolore si è trasformato in una storia che non riuscivo più a raccontare. Una narrazione di sofferenza, di disagio fisico, sociale ed emotivo, che dura ancora oggi, senza una fine visibile.

 

"L'oscurità, ma io ho una luce" è la mia testimonianza.

Un'opera autobiografica che racconta la malattia, la resilienza, il dolore e la scoperta della forza e della luce che giace dentro ognuno di noi. Dopo il primo ricovero, nel 2018, all'ospedale Saverio De Bellis di Castellana Grotte, in Puglia, durato 55 giorni, finalmente sono riuscita a sollevarmi dal letto. Mi sono guardata allo specchio, nel bagno dell'ospedale, e ho visto il riflesso di una donna che non riconoscevo, una sconosciuta. "Chi sei?" mi sono chiesta, e ho pianto. In due mesi avevo perso 17 chili, io che già ne avevo pochi. La trasformazione fisica è stata devastante. È successo tutto così all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno. La vita, dopo 26 anni, mi ha sottratta dalla mia esistenza e mi ha catapultata in una dimensione sconosciuta, in ospedali che sono come prigioni, in luoghi della mente che non avevo mai immaginato: la disperazione. Mi ha riportata a casa, nella mia terra d'origine, la Puglia. Ho dovuto lasciare tutto: gli amici, il lavoro, l'appartamento, dopo undici anni a Londra. Ero così emaciata e disidratata che non avevo la forza di aprire gli occhi, né di sollevare la testa dal cuscino. La mia pelle si era assottigliata, i muscoli erano spariti. Ero impotente, senza valore, incapace di camminare, di essere indipendente. A volte, sentivo che avrei preferito morire, che quella vita non era più la mia. Ma c'era una voce dentro di me che mi chiedeva di trovare la forza per vivere.

Quando finalmente sono riuscita a riprendermi, ho cominciato a scrivere. Scrivevo ciò che sentivo, ciò che pensavo, un po' in italiano, un po' in inglese, su pezzi di carta, su tovaglioli che trovavo in ospedale e che lasciavo sul comodino. Le parole erano le uniche cose che mi aiutavano a non sprofondare nel buio. Poi, ho cominciato a scattare fotografie. Sempre le stesse. Con la macchina fotografica compatta, o con il cellulare, quando trovavo un po' di energia. Era il mio modo di distrarmi dal dolore, di cercare un po' di conforto. Ogni scatto era un piccolo gesto di resistenza, un atto di speranza. Ho cominciato a scrivere un diario, convinta che tutto sarebbe andato bene. Ma la vita ha continuato a mettermi alla prova. E ogni volta, ho dovuto rialzarmi. Ogni giorno una nuova sfida, una nuova battaglia. Le complicazioni non sono mai finite, ma la speranza non è mai venuta meno. So che condividere questa parte della mia vita, che si trasformerà in un libro, può aiutare chi sta affrontando situazioni simili, dove è così difficile comprendere e affrontare il proprio dolore. Dove accettare la sofferenza sembra impossibile, ma dove c'è sempre, in fondo, una luce che ci guida, se siamo pronti a vederla. A volte la vita non va come vorremmo, ma l'importante è non arrendersi mai. Alla fine del tunnel dell'oscurità, c'è sempre una luce. Cercala, e troverai che è sempre stata lì con te. Sempre. Perché tu sei luce. E hai il diritto di brillare, più che puoi.

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Installazione | L'oscurità, ma io ho una luce | Dublino | Gallery X | 2024

Qual è il significato di tutto questo?

Paura. Vertigine. Dolore. Oscurità! La complicità criminale dei pensieri e delle emozioni. Schegge impazzite dell'Essere. Una lama di luce trafigge l'oscurità della mia esistenza. Dolore. Vertigine. Oscurità! Una ferita... Dietro di essa: oscurità... e ancora dolore! Mi ci lancio, mi avvicino, si fa enorme, il pianeta opaco dei miei anni passati. Dove atterreremo? Non c’è spazio, non c’è un varco, nemmeno un millimetro quadrato di sincerità nel deserto roccioso dei miei pensieri. Un tunnel mi inghiotte. Oscurità. Dolore. Vertigine!

Una piccola stanza in un ospedale di provincia, l’odore di creolina, il tanfo di malattia e impotenza. Una figura spezzata è inginocchiata davanti a un essere immobile, senza vita. Mi avvicino. Quella donna terrorizzata sono io! La stanza sembra soffocante, l’aria densa di disperazione. Le pareti si stringono, un peso schiacciante sul petto. I ricordi invadono la mia mente, un torrente di immagini e suoni, ciascuno più tagliente e doloroso dell’altro. L’eco degli errori del passato, i rimpianti che feriscono in profondità. Sono intrappolata in un vortice di emozioni, incapace di liberarmi. Le piastrelle fredde sotto le ginocchia, l’ambiente sterile contrasta brutalmente con il caos dentro di me. La realtà sfugge, lasciandomi in un abisso di confusione e dolore. Qual è il significato di tutto questo? La domanda risuona nel vuoto, senza risposta.

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Paura. Vertigini. Dolore. Oscurità! Il ciclo si ripete, un loop infinito di tormento. La complicità criminale dei pensieri e delle emozioni. Sono prigioniera della mia stessa mente. Eppure, nel caos, c'è un tenue bagliore di speranza. Un ricordo lontano di un tempo in cui tutto era diverso, in cui la vita aveva un senso. Il ricordo è fragile, come un delicato fiore nella tempesta, ma mi dà qualcosa a cui aggrapparmi—una ragione per lottare, per cercare una via d’uscita dall'oscurità.

Respiro profondamente, preparandomi a resistere alla disperazione che incombe. Il viaggio attraverso il tunnel buio non è finito, ma non mi arrenderò. Troverò la luce, per quanto debole possa sembrare. Reclamare la mia esistenza dalle grinfie della paura, delle vertigini e del dolore.

Non sono sola in questa lotta. La donna terrorizzata che ho visto sono io, ma è anche una parte di me che posso guarire. Qual è il senso di tutto questo? È la lotta, il dolore, e infine la crescita. Per ora, avanzo un passo alla volta. Paura. Vertigini. Dolore. Oscurità! Sono solo ombre che non possono resistere all’alba.

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L'adulto è un bambino che ha smarrito la capacità di sognare e gioire. Questa perdita rappresenta un messaggio di guarigione da quella che definiamo la malattia dell'essere: l'infelicità. Un'esperienza che, come molti altri, ho vissuto intensamente e che si è poi manifestata anche all'esterno, attraverso la patologia che mi accompagna. Ma cos'è la malattia, se non il frutto dell'infelicità? Le emozioni negative governano il mondo in cui viviamo: irreali, eppure pervasivamente presenti. Il destino può essere cambiato? Gli eventi possono mutare? Forse sì, ma “cambiare il nostro destino” richiede un atto radicale: trasformare la psicologia che lo sostiene, quel sistema di credenze e convinzioni che, passo dopo passo, abbiamo costruito vivendo.

La più grande malattia del mondo risiede nei nostri pensieri conflittuali. Il nostro vero potere è racchiuso nella capacità di possederci pienamente e, al tempo stesso, di arrenderci con fiducia a ciò che siamo davvero. Ciò che chiamiamo realtà non è altro che un’apparenza, da ribaltare completamente, perché nulla di ciò che riteniamo reale ci accompagnerà davvero. Dobbiamo imparare un nuovo modo di pensare, respirare, agire, amare. È giunto il momento di abbandonare la visione conflittuale che ci avvelena dall'interno. È tempo di lasciare andare tutto ciò che non porta vita, per poter rinascere. È tempo di una nuova libertà: la più grande avventura che un essere umano possa immaginare, la riconquista della propria integrità. Ogni evento della nostra vita, anche il più piccolo, riflette fedelmente la nostra volontà. Il mondo intorno a noi muore perché stiamo morendo dentro. Quali pensieri ci governano? Quali emozioni rivolgiamo a noi stessi e agli altri? Cosa ci ripetiamo ogni giorno? Il nostro essere plasma la nostra esistenza. Anch’io sono stata l’unica responsabile di ogni evento accaduto nella mia vita, la causa di ogni sofferenza e sventura. Alleggerire il proprio essere richiede impegno, sacrificio e coraggio. Significa abbandonare tutto ciò che genitori, educatori, maestri di sventura e profeti di disastri ci hanno imposto fin dall'infanzia. Da loro abbiamo appreso mille modi di morire. E allora, perché non scegliere la vita?

Il primo passo verso la libertà, forse il più difficile, è riconoscere che la paura tiranneggia le nostre giornate, i nostri pensieri, i nostri silenzi. Per conquistare quella speciale condizione dell’essere fatta di libertà, conoscenza e potere, sono necessari anni di lavoro su di sé. È indispensabile imparare a perdonarsi, con dolcezza, con pazienza. Questo vuol dire immergersi nelle pieghe più intime della propria esistenza, là dove si è ancora spezzata, e avere il coraggio di accarezzare le ferite, di lavarle, curarle e lasciarle finalmente rimarginare. Alla fine, la guarigione non è altro che un ritorno a noi stessi. Non una ricerca di perfezione, ma un'accettazione profonda: del nostro essere, delle nostre imperfezioni, della bellezza che custodiamo nel profondo. Forse non possiamo cambiare ogni cosa, ma possiamo cambiare il modo in cui scegliamo di vivere. Possiamo scegliere di essere gentili con noi stessi, di ascoltarci davvero, di dare spazio a ciò che ci fa battere il cuore. E, un passo alla volta, possiamo tornare a sognare, a gioire, e a vivere con quella libertà luminosa che appartiene a chi si concede di rinascere.

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Che cos’è il dolore? Potrebbe sembrare una domanda semplice, ma la risposta dipende da chi la poni. Alcuni dicono che è un segnale d’allarme, un avvertimento che qualcosa nel corpo è danneggiato. Altri lo descrivono come il modo in cui il corpo comunica che qualcosa non va. Per alcuni è un tormentatore implacabile, brutale, senza pietà. Per altri, è un promemoria della loro fragilità, un segno che la loro spina dorsale è "fuori posto", che un disco è "scivolato" o che una gamba è "spezzata". C’è chi lo vive come una punizione per i propri peccati, o come una prova di fede.

Per me, il dolore è ciò che mi costringe a fermarmi e a guardarmi dentro. Mi chiudo in me stessa, lasciando fuori il mondo che continua a correre come sempre. Quel mondo esterno diventa distante, quasi irrilevante, come se non esistesse più o come se io non ne facessi più parte. È difficile spiegare dove ci porta il dolore. È un luogo oscuro, un abisso dove la sofferenza diventa un grido incessante, una melodia cupa che risuona nella notte. Non troviamo pace, non possiamo muoverci, anche se crediamo di dormire. Non possiamo davvero dormire… perché il dolore, quel coltello conficcato nella carne, continua a ferirci. Senti il sangue scorrere, il dolore come un’onda incessante.

Eppure, il dolore è anche un meccanismo di protezione. Non siamo consapevoli di tutto ciò che accade nel nostro corpo per proteggerci. Il sistema immunitario rilascia molecole infiammatorie per distruggere gli invasori o riparare i tessuti danneggiati; il sistema nervoso autonomo aumenta il nostro stato di allerta, preparandoci a reagire; il sistema endocrino stimola la guarigione e il recupero; il sistema motorio adatta i movimenti per ridurre lo stress meccanico su alcune aree. Sono le sensazioni – paura, dolore, fame, sete, fatica – a coinvolgere l’intero essere nel compito di proteggerci e preservarci.

Ma quindi, è tutto nella mente e nulla nel corpo? Ovviamente no. I recettori del pericolo sono distribuiti in quasi tutti i tessuti del corpo e agiscono come gli "occhi del cervello". Quando c’è un improvviso cambiamento nell’ambiente tissutale, questi recettori rappresentano la nostra prima linea di difesa: avvertono il cervello, mobilitano meccanismi infiammatori, rilasciano molecole immunitarie che aumentano il flusso sanguigno, stimolano la riparazione dei tessuti danneggiati.

E il dolore? Per me… non conosci il vero dolore finché non ti ritrovi davanti allo specchio, con le lacrime agli occhi, a implorare te stesso di resistere, di essere forte. Questo è il dolore.

Estratto da "L'oscurità, ma io ho una luce" di Loredana Denicola 

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