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Psicofotografia: Mettendoti nella Foto


L’emisfero destro del nostro cervello è la sede delle dimensioni immaginative, creative e fotografiche della mente e ha un ruolo fondamentale nell’attività onirica.

I sogni sono infatti sia fonte di ispirazione che una specie di discarica delle immagini quotidiane, che poi vengono rielaborate e riciclate in una specie di “economia circolare” della mente.

E come creativi, noi fotografi attingiamo a queste profondità continuamente, in modo più o meno consapevole.


L’attività artistica in generale, fa riferimento ad un mondo quasi sotterraneo che ci appartiene sin dall’infanzia ma che possiamo anche immaginare condiviso con il resto dell’Umanità: tale condivisione avviene attraverso la parola, la narrazione scritta e quella artistica tradizionale (dipinti e sculture) e oggi anche grazie a filmati e fotografie.


Tutto questo ci mette in connessione con noi stessi e con il mondo.

Ogni volta che condividiamo una nostra foto aggiungiamo – potenzialmente un’emozione in più, un’idea, un pensiero.

Questo spiega anche perché molte volte mi scopro a pensare che quel ritratto mi ricorda Diane Arbus o quei campi coltivati sembrano tratti da una foto di Giacomelli, o di Franco Fontana. Per non parlare dei parallelismi pittorici.

Non è solo un fatto “imitativo”, è anche un fatto psicologico.

Solo che la maggior parte di noi non se ne rende conto perché viviamo una vita frenetica e non mettiamo alcuna attenzione in quello che facciamo, seppelliamo nell’inconscio ogni cosa vista. E la cosa interessante è che molte volte, le pulsioni sommerse che rinveniamo in queste profondità che ci portiamo sempre dietro, sono spesso negative.


Quanti fotografi attingono a queste acque per creare i propri progetti?


Alcune volte questa attività è conscia, si vuole fotografare qualcosa, ritraendo delle immagini che appartengono a sogni o cose già viste seguendo una pianificazione per la realizzazione della fotografia. Altre volte fa parte di una necessità profonda, nascosta, inconscia che ci spinge ad usare il mezzo fotografico senza alcun pensiero razionale, il sentire appunto facendo emergere emozioni represse che si manifestano attraverso la creazione di progetti video o/e fotografici. Molte volte il lavoro creativo è espressione di un dolore profondo. Ci struggiamo per la pace perduta, per la bellezza violata, per il male che percorre il nostro profondo e il mondo. Tutti noi soffriamo.

C’è angoscia, incertezza, solitudine nell’essere umano; c’è insicurezza, gelosia, avidità, invidia, dolore, e talvolta anche bellezza e compassione, quasi dimenticate.


La realtà è davvero così negativa, triste e problematica?


Di certo lo è, ma sappiamo, razionalmente, che c’è ben altro e tuttavia non riusciamo a sfuggire a questa sensazione che lo scopo di un artista impegnato sia la narrazione dei mali dell’umanità e che non farlo – automaticamente – lo faccia percepire come un artista “poco impegnato”.



L'ospedale brucia © Loredana Denicola
L'ospedale brucia © Loredana Denicola

Credo che il vissuto che ci portiamo dietro abbia un ruolo fondamentale, non solo come fonte di ispirazione, ma anche rispetto al posto nel mondo in cui ci collochiamo, o in cui veniamo spinti quando siamo distratti.

La vita è fatta di cicli.

Ogni giorno ci porta a vivere nuove esperienze, siamo bombardati da nuove immagini, nuove gioie e dolori che ci portano a riflettere e a ricostruirci sedimentandosi nelle profondità del nostro animo.


Imparare a fotografare significa rinascere, nel vero senso del termine.


Significa prendere tutta la materia che abbiamo in noi e metterla all’interno di un fotogramma e se è dolente, dolente sia, se è gioiosa, che gioiosa sia! Purché ci appartenga davvero e, da questo punto di vista, non potrà mai essere un’imitazione, anche quando “ricorda le foto di…”.


Perché mai la forma è sostanza, ma sempre la sostanza deve prendere una forma. La fotografia per alcuni è passione, per altri tecnica, soprattutto quando si ragiona in termini di fotocamere e obbiettivi, tempi di scatto e diaframmi, softwares e accessori.

Ma per altri la fotografia è terapia.

È quella materia oscura e nascosta in noi che rappresenta le fondamenta della nostra vita. Anche senza rendercene conto, è lì che andiamo ad attingere per avere ispirazione, per trovare idee. Il modo in cui lo facciamo orienta le risposte che otterremo.

Si tratta di un processo lungo e difficile, che non tutti hanno voglia di seguire: in verità sono in pochi a farlo davvero, specialmente perché non riescono a vederne l’utilità.


Se imparo a fotografare bene, a sviluppare accuratamente i miei file RAW, a realizzare un progetto ben fatto, perché mai dovrei avventurarmi fuori i confini di un porto così sicuro?


Loredana



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