Vorrei spendere alcune parole sulla differenza tra selfie e autoritratto.
Oggi comunichiamo principalmente attraverso le immagini. Siamo bombardati da una quantità eccessiva di informazioni. La fotografia sta evolvendo.
Ho letto che siamo tutti fotografi, ma è vero?
La percezione che abbiamo di noi stessi è affidata allo strumento fotografico. La fotografia è un’esperienza percettiva indiretta caratterizzata da un certo grado di certezza: ha immortalato ciò che è stato.
E insieme da una componente di incertezza – che ha a che fare con ‘cosa’ è stato immortalato nel preciso istante dello scatto. Ma non ci vediamo nella stessa maniera in cui le altre persone ci vedono. La percezione che abbiamo di noi è diversa.
Lo specchio può solo fornirci un'immagine invertita di noi stessi, molto diversa da come gli altri ci vedono, ma a cui inevitabilmente finiamo per abituarci; otteniamo una correzione di questa immagine grazie alla fotografia, che ci offre la prospettiva visiva degli altri.
La capacità di osservarsi attraverso questa correzione di prospettiva può portare ad inattesi effetti di alienazione (similmente a quanto accade quando ci capita di ascoltare la nostra voce registrata) interferendo con la capacità di riconoscerci pienamente nelle immagini che ci raffigurano.
Quando ci troviamo di fronte alla macchina fotografica, c'è sempre un terzo elemento che la scatta al momento giusto. Il terzo elemento è il nostro desiderio per l'altro, colui che ci guarda, lo spettatore che inevitabilmente pensiamo sia presente sia quando scattiamo sia quando scegliamo la fotografia. Questo terzo elemento è ciò che ci permette di vederci, di auto-osservarci. La fotografia è un mezzo che ci consente di mostrare ciò che vorremmo o avremmo voluto essere, superando l'oggettività imposta dal nostro aspetto fisico.
L’immagine fotografica diventa uno specchio nel quale riflettere il nostro sguardo più in profondo, per poter osservare da un punto di vista esterno ciò a cui aspiriamo ad essere.
L'autoritratto è uno strumento utile per dialogare con se stessi e con il proprio sguardo intenzionale. Questo è vero nella ricerca quotidiana della propria identità personale, così come nel lavoro svolto nel contesto della psicoterapia. È necessario distinguere tra le diverse forme di autoritratto.
Da un lato, abbiamo il selfie, che non è un autoritratto. Il suo scopo è rappresentarci fedelmente nel modo in cui vorremmo apparire. Queste immagini e la loro condivisione sui social network mirano a ottenere una gratificazione immediata attraverso l'approvazione degli altri. La produzione di queste immagini è rapida e automatica, così come la soddisfazione che deriva dalla loro esposizione, piuttosto che il processo di realizzazione, che è semplice. Se nessuno ci vede non esistiamo.
Poi, abbiamo l'autoritratto il cui scopo è generare un'immagine di noi stessi che rappresenta non solo ciò che siamo, ma anche ciò che sentiamo di essere o vorremmo essere.
Qui, c'è una comunicazione più profonda, in cui la rappresentazione non riguarda solo l'aspetto fisico e corporeo, ma anche l'espressione di aspetti emotivi, psicologici, spirituali o artistici. L'autoritratto è generalmente realizzato per se stessi, non solo per gli altri, che sono sempre presenti, poiché ogni immagine presuppone un osservatore, reale o immaginario. Il processo creativo è più lento, è studiato. La gratificazione finale è liberata dall'osservatore.
Mentre I selfie sono orientati alla condivisione di contenuti, l’autoritratto consente all’autore di comunicare non solo i contenuti, ma anche i processi e i significati retrostanti.
Appena mi sento osservato dall’obiettivo, tutto cambia: mi metto in atteggiamento di ‘posa’, mi fabbrico istantaneamente un altro corpo, mi trasformo anticipatamente in immagine. Questa trasformazione è attiva: sento che la Fotografia crea o mortifica a suo piacimento il mio corpo” (Barthes, 1980, p. 12).
Barthes: “Il ritratto fotografico è un campo di forza chiuso. Quattro immaginari vi s’incontrano, si confrontano e si deformano. Davanti all’obiettivo, io sono contemporaneamente: chi penso di essere, ciò che vorrei che la gente credesse che io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte” (Barthes, 1980, p. 15).
L'esercizio dell'autoritratto può coincidere con la performance artistica grazie all'interazione soggettiva di tre componenti - autore, soggetto e spettatore - ciò che Barthes chiama - operatore, spettro e spettatore.
Lo stesso individuo, nelle diverse fasi dell'esperienza creativa, infatti, passa dalla posizione dell'autore a quella del soggetto (oggetto) e infine del primo utente dell'opera. Il fotografo scatta una foto di se stesso: è il soggetto, l'oggetto e, in primo luogo, anche il pubblico.
Semplicemente raccontando qualcosa di noi stessi – anche attraverso l'uso degli autoritratti – subiamo una sorta di distacco da noi stessi, ci osserviamo da fuori e ci reinventiamo, trasformandoci in 'personaggi' diversi da noi ma che in qualche maniera ci assomigliano ma non ci corrispondono pienamente (Demetrio, 1996).
Qual è, in definitiva, lo scopo ultimo dell'autoritratto?
Si potrebbe sostenere che consista in un continuo tentativo di confermare e dimostrare la propria identità attraverso immagini di se stessi che la fotografia in un certo senso concretizza, rendendole visivamente disponibili.
L'illusione rimane, finché non viene catturata dalla consapevolezza che il dispositivo è in grado di rappresentarci veramente: è sempre e solo una visione soggettiva. Quello che rende un autoritratto una pratica terapeutica è il significato ad esso attribuito; quindi, non è né l'atto di auto- rappresentazione né il suo prodotto. Ancora una volta, non è il contenuto, ma il processo che definisce il contesto come terapeutico.
Si possono distinguere diverse tipologie di tecniche psicologiche basate sulla fotografia.
Parliamo di Fototerapia ogni volta che è coinvolta la pianificazione terapeutica che richiede l'intervento di un professionista. La fototerapia consiste in una serie di esercizi che l'individuo può svolgere autonomamente, senza richiedere il coinvolgimento del terapeuta.
Lo scopo principale di questi esercizi è la promozione della consapevolezza di sé e l'auto-conoscenza; in questo modo, si può ottenere un cambiamento sociale positivo utilizzando la fotografia come mezzo di apprendimento.
È importante considerare come queste diverse pratiche non siano in conflitto tra loro; al contrario, sono collocate ai due estremi di un continuum: da un lato, la fototerapia coinvolge l'uso di immagini durante il corso della terapia, dall'altro, la fotografia terapeutica coinvolge l'uso delle foto come terapia in sé; al centro, possiamo vedere diversi punti di sovrapposizione che offrono l'opportunità per l'uso combinato dei due metodi (Weiser, 2010).
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